Lingua andaandi

Lingua Dongolawi
Andaandi
Parlato inSudan
Regionifiume Nilo
Locutori
Totale70.000 (2014)[1]
Altre informazioni
ScritturaAlfabeto arabo
Alfabeto latino
Alfabeto copto
TipoSOV
Tassonomia
FilogenesiLingue nilo-sahariane
 Lingue sudaniche orientali
  Lingue nubiane centrali
Codici di classificazione
ISO 639-3dgl (EN)
Linguist Listdgl (EN)
Glottologdong1288 (EN)

La lingua Andaandi o Dongolawi appartiene alla famiglia linguistica Nubiana, ed è parlata nel Sudan settentrionale. Viene parlata nella Valle del Nilo, dalla terza cateratta (sud di Kerma) fino alla grande ansa curva del fiume vicino a Al Dabbah. A causa degli spostamenti di popolazioni avvenuti per la costruzione della diga di Assuan e la relativa creazione del lago Nasser, vi sono comunità di locutori nella parte orientale del Sudan (zona di Khashm El Girba).

Dongolawi è un termine arabo che deriva dal nome dell'antica città di Dongola, centro del Regno Cristiano di Makuria (VI-XIV secolo d.C.). La città moderna di Dongola venne fondata nell XIX secolo sulla sponda occidentale del Nilo. I Dongolawi chiamano la loro lingua: Andaandi "(la lingua) di casa nostra".

Quasi tutti i locutori Dongolawi parlano anche l'arabo sudanese (cod. ISO 639-3: dgl), lingua franca del Sudan. Quindi, la lingua corre pericolo d'estinzione, infatti, soffre del processo di deriva linguistica verso l'arabo, per cui sempre più persone parlano quest'ultimo idioma a scapito di quello tradizionale. (Jakobi 2008).

Il Dongolawi è strettamente connesso al Kenzi (o Mattokki), parlato nel sud dell'Egitto. Un tempo le due lingue erano considerati dialetti di un'unica lingua denominata Kenzi-Dongolawi. Ricerche più recenti hanno riconosciuto come invece siano da considerare lingue distinte, senza una "relazione genetica particolarmente stretta."[2] Oltre a queste due lingue, vi erano altre tre varietà, oggi estinte, del Kenzi-Dongolawi.

  1. ^ https://www.ethnologue.com/language/dgl
  2. ^ Bechhaus-Gerst, Marianne. The (Hi)story of Nobiin — 1000 Years of Language Change. Peter Lang, 2011, p. 22.

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